Lucio Paliaga, l’esule istriano diventato principe del Foro varesino

Con l’armistizio dell’8 Settembre 1943, in Istria, la vita di molti italiani diventa un incubo. Come molte altre del confine orientale anche la famiglia Paliaga è costretta a scappare per evitare la morte. La sua storia è molto simile a quella dei 350mila istriani, dalmati e giuliani costretti ad andare esuli per il mondo.

La riassumiamo in breve, alla vigilia del 10 Febbraio, Giorno del Ricordo.

Lucio Mario Paliaga nasce a Pola l’11 Febbraio 1930, trascorre la sua infanzia e adolescenza ad Albona d’Istria con i fratelli Giampaolo e Giannino.

La mamma, Jole Montescirocchi, nata a Budapest, lavorava come maestra alla scuola primaria di Albona d’Istria, il padre, Galliano Paliaga, ingegnere minerario, dirigente della miniera di Albona, durante la guerra fu arruolato nel Genio Civile dell’Esercito.

Un incarico, il suo, automaticamente assimilato dai partigiani di Tito alle politiche del fascismo.

Ad Albona le case degli italiani sospettati di anticomunismo erano segnalate con fazzoletti rossi e nella notte quelle abitazioni subivano un incursione da parte della polizia slava, che arrestava gli occupanti per destinarli, quasi sempre, all’orribile morte nelle foibe.

Il preside della scuola dove la madre Jole è insegnante, viene a sapere che i Paliaga sono nel mirino dei Titini.

L’insegnante viene avvisata per tempo ed improvvisa una fuga disperata.

Il figlio più grande Giampaolo con un semplice zainetto affronterà la fuga incamminandosi fino a Trieste da solo, cercando di superare il confine da Basovizza.

La madre, invece, fugge con i due figli più piccoli, Lucio e Giannino. Jole lascia la casa portando con sé una piccola borsetta, contenente un gioiello, che intende vendere per assicurarsi del cibo, qualche zolletta di zucchero e pezzetti di cioccolato per i bambini.

Lo scopo è di fingere d’uscire per una passeggiata in modo da non destare sospetti. I Paliaga si allontanano a piedi e, con il cuore in gola, intraprendono la via a zigzag decisi a raggiungere Trieste ma lungo un percorso diverso da quello intrapreso dal figlio maggiore.

Nel loro cammino evitano di prendere mezzi, nessun passaggio e la notte dormono all’interno delle chiese. Per proteggere il fratellino dal freddo, Lucio gli fa scudo con il corpo avvolgendolo insieme alla mamma.

Dopo diversi giorni e fortunosi scampati pericoli, mamma e piccoli raggiungono Trieste dove riescono a ricongiungersi con il fratello maggiore in casa di parenti. Per ristrettezze economiche questi non possono offrire loro ospitalità e neppure un posto sicuro.

Dopo quello che ha passato Jole non si perde d’animo. Con i pochi soldi che le sono rimasti raggiunge Dongo, dove un parente è segretario comunale

Il piccolo comune lariano (diventato famoso per l’arresto di Mussolini e la fucilazione di diversi gerarchi fascisti) è un luogo ostile. Appena si sparge la notizia che provengono dal Confine orientale, i Paliaga sono cacciati.

Lucio, quindicenne, non viene accettato al liceo di Como; dovrà trasferirsi a Montepulciano in un liceo per profughi. La stessa sorte toccherà al fratello Gian Paolo, che studierà al Liceo Borromeo di Pavia, mentre il più piccolo rimane con la madre.

Sono anni di sacrifici e di duro lavoro. Il padre, ricongiungendosi con la moglie a Como, pur facendo parte del Genio Civile dell’Esercito, ha difficoltà ad integrarsi ed il lavoro resta una chimera.

Lucio da Montepulciano è trasferito prima a Firenze e poi a Varese dove, ottenuta la maturità al Liceo Cairoli, si iscrive successivamente all’Università Statale di Milano laureandosi in Giurisprudenza.

Una vita, quella di ogni componente dei Paliaga, che lascia una serie di ferite nell’anima e che porta, soprattutto nei giovani che hanno vissuto quelle realtà una maturità precoce azzerando infanzia e adolescenza.

La Lombardia e Varese per Lucio diventano la seconda patria, un luogo dove mettere radici.

Dopo la laurea in Giurisprudenza, Lucio diventa avvocato raggiungendo l’apice della carriera con l’iscrizione all’Albo speciale cassazionisti e giurisdizioni superiori. Si sposa e ha tre figli. Il matrimonio si concluderà con un divorzio. Lucio si risposerà con Antonella Fiori, varesina, anch’essa laureata in giurisprudenza.

Come tanti esuli istriani l’Avvocato cassazionista si chiuderà nel riserbo per non parlare dei dolorosi episodi vissuti nell’abbandonare la terra d’origine. Tornerà ad Albona solo tre volte, insieme alla famiglia; darà un’occhiata fugace alla casa natia, farà una breve visita al cimitero, ma mai accennerà alle foibe.

L’avvocato Lucio Paliaga ha vissuto gli anni più impegnativi della vita a Varese, dove è morto, nel 2010, all’età di 80 anni. Chi lo ha conosciuto lo ricorda come un uomo saggio, ed uno dei migliori avvocati del Foro di Varese.

Il 10 Febbraio, Giorno del Ricordo, si commemora ciò che è accaduto a tanti nostri connazionali. Le statistiche parlano di 15/20.000 infoibati (per altre si arriverebbe a 35.000) e di oltre 300.000 persone fuggite per non essere uccise. La legge n. 92 del 2004, che ha introdotto il Giorno del ricordo, compie vent’anni e comincia ad essere onorata da un numero sempre più crescente di Amministrazioni comunali.

Nonostante ciò, ancora oggi, c’è chi tende a negare i tragici eventi accaduti al confine orientale e i trucidati finiti nelle foibe o annegati, con una pietra al collo, nell’Adriatico.

didascalia: città di Pola – luogo di nascita di Lucio Paliaga

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